Territori fragili

La valle del Belice 50 anni dopo il terremoto

Il terremoto del 1968 nella Valle del Belìce è un caso emblematico nella storia geofisica ed urbana d’Italia: sisma dopo sisma è aumentato il rischio che la ricchezza del nostro paese si assottigli. A 50 anni di distanza dal tragico evento è possibile tracciare un’analisi urbana, sociale e culturale che evidenzi i risultati delle scelte attuate per la ricostruzione dei paesi distrutti. L’opportunità di riportare al passo con i tempi le strutture paesaggistiche, urbane ed architettoniche di questo territorio gravemente arretrato e a forte rischio sismico, non fu sfruttata a pieno; infatti, sebbene le intenzioni fossero lungimiranti, oggi la Valle si presenta piena di bellezze e di contraddizioni, di realtà sconnesse fra loro che non comunicano e, dunque, non producono sinergie l’una con l’altra.

Viene spontaneo chiedersi come evitare che, a causa di calamità naturali o artificiali, borghi estremamente ricchi di passato, come quelli italiani, spariscano insieme alla loro storia e come evitare lo spopolamento graduale dei centri urbani isolati di recente edificazione. La catastrofe del ’68 non va dimenticata, ma considerata per definire nuove strategie, affinché questi “non (ancora) luoghi” si riapproprino della loro identità.

Tale azione richiede molte fasi di lavoro, perché il paesaggio e la città sono troppo complessi per essere progettati come un risultato, in quanto essi costituiscono un processo temporale e non un semplice prodotto. 

L’obiettivo che si è voluto raggiungere mettendo insieme tutte le informazioni, è stato quello di promuovere un metodo di indagine che mirasse a comparare le scelte architettoniche e gli sviluppi delle strutture urbane delle città prima e dopo la catastrofe, classificandole in un Atlante delle persistenze e delle trasformazioni della Valle del Belice, per poi proporre tre scenari futuri a breve o lungo termine che dimostrano come si possano recuperare e riorganizzare le risorse già esistenti nella Valle, senza ricercarne di nuove, per nevralgizzare le aree compromesse e trasformare l’economia e la cultura belicine in occasioni progettuali di rinascita. 

Molteplici sono gli approcci architettonici ed urbani a cui si può far riferimento per affrontare le emergenze, ma imprescindibile da qualsiasi teoria applicabile è la stretta conoscenza della storia dei cittadini e del paesaggio: è necessario salvaguardare le identità idonee, proporre soluzioni che prevengano per quanto possibile i danni di una catastrofe e che aiutino ad affrontare l’emergenza.

In collaborazione con Arch. Noemi Marcazzan